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Osterie, Bacari e dintorni a Venezia




A Venezia si incontrano diverse Calli del Magazen (di cui vediamo nella foto un nizioletto curiosamente reinterpretato), ma contrariamente a quanto potrebbe sembrare i Magazen non erano "magazzini", ma rivendite di vino al minuto. Nei Magazen inoltre si praticava il prestito su pegno e vi si riceveva in cambio due terzi in denaro e un terzo in vino di bassa qualità, detto appunto “vin da pegni”.
Anticamente a Venezia esistevano varie tipologie di locali, oltre ai magazen c’erano le osterie, che svolgevano anche funzione di albergo, poi c’erano le malvasie, dedite alla sola rivendita di vino foresto, cioè straniero (ricordiamo che la malvasia non è un vino siciliano ma greco), poi c’erano i bastioni e i samarchi, vere e proprie bettole dove si potevano anche mangiare i famosi cicheti, cioè gli antenati delle tapas spagnole, poi c’erano le furatole, dove si consumavano pasti veri e propri, infine c’erano i fritolini, dove si consumava solo pesce fritto e polenta.
Più recenti sono i "bacari", locali dove tradizionalmente si beve un'ombra di vino e si gustano i cicheti. Il nome forse deriva dai "bacari" (singolare: bacaro), un termine, che a sua volta deriva dal "Baccho", dio del vino. Secondo un'altra teoria deriva da "far bàcara", espressione veneziana per "festeggiare". "Bacari" si chiamavano una volta quei vignaioli e vinai, che venivano a Venezia con un barile di vino per venderlo in Piazza San Marco, insieme con dei piccoli spuntini.
Nei veri bacari è possibile consumare anche vino di ottima qualità.

"Chi ben beve, ben dorme,
chi ben dorme, mal no pensa,
chi mal no pensa, mal no fa,
chi mal no fa, in Paradiso va.
Ora ben bevè che el Paradiso avarè!"

Giuseppe Tassini, il veneziano 'curioso'




"Fuvvi tempo in cui curiosità ci spinse ad indagare l'origine delle denominazioni stradali di Venezia". Così iniziava il Tassini la prefazione della prima edizione del suo libro Curiosità Veneziane (1863).
Giuseppe Tassini nacque il 12 novembre 1827 in una famiglia della borghesia veneziana. Suo nonno era vissuto molti anni a Costantinopoli come Ambasciatore della Serenissima presso la Sublime Porta. Suo padre, nato a Costantinopoli, fu ufficiale nella Veneta Marina Austriaca e sposò la figlia di un colonnello dell'esercito austriaco. Soleva infatti dire:"Nato da padre turco e madre tedesca non posso esser che strambo!".
La sua gioventù fu piuttosto disordinata: avviato agli studi giuridici a Padova, li aveva trascurati ostentatamente per darsi alla bella vita. Ma nel 1858 la morte del padre sembra scuoterlo dalla sua indolenza e riprende gli studi. A quasi trentatre anni consegue la laurea e di lì a poco comincia ad interessarsi al tema che lo accompagnerà fino alla fine: gli studi su Venezia e sulla sua storia.
Egli fu autore di diversi saggi relativi alla storia di Venezia, scritti elaborati con un'angolazione particolare, per mettere in evidenza adettoti e curiosità, storie minime, che hanno appassionato generazioni di lettori.
Ne ricordiamo solo alcuni:
Curiosità Veneziane
- Veronica Franco, celebre letterata e meretrice veneziana
- Alcune delle più clamorose condanne capitali eseguite a Venezia
    
Insolite furono le sue opere, ma anche la sua vita. Uomo solitario, viveva tra carte d'archivio e di biblioteca, ma diversamente da molti altri studiosi, non si cibava di sola cultura, ma era un gran mangiatore e un ottimo bevitore, come la sua stazza stava a testimoniare.
Amava le donne, e poiché era scettico, cinico forse, non chiedeva loro più di quello che egli stesso loro desse di sé: qualche ora d'oblio, nella soddisfazione dei sensi. Egli aveva bandito dalla sua vita ogni ingombro sentimentale, non credeva all'amore, né a nessun'altra astrazione di sentimento umano. E si studiava di aver il minor numero possibile di padroni del suo destino. Contava i suoi amici tra gli eruditi e i cultori degli studi veneziani, ma all'infuori degli incontri al caffè non manteneva relazioni con chicchessia. E nulla chiedeva a nessuno. Studiava per suo piacere, per soddisfare la sua curiosità, e scriveva per naturale inclinazione.

Probabilmente furono i suoi eccessi nel bere e nel mangiare a portarlo alla morte, per colpo apoplettico, nel 1899, nella sua casa presso il sotoportego delle Cariole, non lontano da San Zulian (nel 1988 il Comune di Venezia vi fece apporre una targa in sua memoria), dove lo trovò disteso a terra il cameriere che era solito portargli il caffè tutte le mattine.
Giuseppe Tassini non fu uno storico, fu un amabile, talvolta sornione, rievocatore della vita di un tempo, di azioni nobili e meschine, eroiche e vili, turpi e virtuose in una città singolarissima che, per chi non solo l'ama come spettacolo, ma la vuol vivere come avventura, come esperienza, ha nei suoi scritti un'introduzione impareggiabile

Josif Brodskji, il poeta russo che amò Venezia




In America sul comodino degli alberghi, si trova una copia della Bibbia. Da qualche anno, in quelli più importanti, anche un libro di Josif Brodskji, un uomo convinto che la poesia come le automobili, può portare lontano, perché è uno straordinario acceleratore mentale, e il poeta è l’animale più sano, l’unico che riesca a fondere il mondo razionale con il mondo intuitivo.

Josif Brodskji nasce a S. Pietroburgo il 24 maggio del 1940. Il padre Alexandr era ufficiale della Marina sovietica con la passione per la fotografia. Una passione che diventò un mestiere-ripiego, quando, a causa dell’origine ebraica, sopraggiunse il prepensionamento, perché l’antisemitismo stava diventando dottrina di stato. La madre Maria Volpert, durante la guerra lavorò come traduttrice nei campi di lavoro per prigionieri tedeschi, e finì per fare la contabile.

Esordì nel 1958 pubblicando alcune poesie in una rivista clandestina; venne subito riconosciuto come uno dei poeti di maggior talento della sua generazione e ricevette il sostegno della poetessa Anna Achmatova, che gli dedicò una delle sue raccolte (1963).
Fu denunciato per la prima volta da un giornale di Leningrado, che attaccò i suoi lavori come pornografici e antisovietici.
Nel 1964 fu arrestato con l'accusa di parassitismo e condannato, dopo un processo che scatenò violente reazioni nell'opinione pubblica mondiale, a cinque anni di lavori forzati. Rilasciato dopo diciotto mesi, tornò a vivere a Leningrado, dedicandosi soprattutto alla traduzione di poeti inglesi.
Nel frattempo venne pubblicata a New York, nel 1970, la sua raccolta di versi Fermata nel deserto, che confermò il suo straordinario estro poetico.
Nel 1972 fu costretto dalle autorità sovietiche a emigrare e si stabilì negli Stati Uniti, dove tenne corsi in varie università e svolse ampia attività pubblicistica (Fuga da Bisanzio (Less than one), 1986) e poetica (Elegie romane, 1982).
Nel 1987 fu insignito del premio Nobel per la letteratura.

A dare il ritmo al suo destino saranno S. Pietroburgo e quel quotidiano fatto di diversità consapevole, coltivata dalla sua famiglia, in un Paese in cui la regola era essere uguali. Una città sospesa, lontana, affollata d’odori, ricordi, densa di personaggi letterari, e mai dimenticata, ritrovata in Venezia, in una sorta di trasposizione fisica e letteraria, di cui ci lascerà la descrizione in Fondamenta degli Incurabili (1989), attraverso un inimitabile gioco di specchi.

È quella città, insieme con una capacità di raccogliere tutto quello che si sospendeva sulla retina, ad averlo reso grande. Sia la fotografia sia la poesia colgono frammenti di vissuto, ma se la prima coglie l’attimo, la superficie, la seconda guarda all’eterno.

Ogni anno in prossimità delle feste natalizie, Josif Brodskji si recava a Venezia. Riteneva che fosse l’unico periodo possibile per viverla. La nebbia, i colori smorzati, il suono dell’acqua, non erano disturbati dallo sciame di turisti e permettevano all’occhio di studiare il mondo esteriore, perché le basse temperature erano il clima ideale per rendere omaggio alla sua bellezza. E poi la nebbia consentiva di dimenticarsi di sé, in una città che aveva smesso di farsi vedere. Del resto per lui le stagioni erano delle metafore, e l’inverno da qualsiasi continente si veda è un po’ antartico.

L’acqua è il luogo dove il tempo fisico e quello metafisico si fondono. L’elemento che mette in discussione il principio d’orizzontalità, che rivela la profonda solitudine di ogni essere umano, la sua precarietà, trasformando anche i piedi in organo dei sensi. E se l’acqua è uguale al tempo, Venezia che dall’acqua è toccata, non fa altro che migliorare, abbellire il tempo, restando uguale a se stessa.

Per Brodskji, annusare Venezia è come toccare la propria essenza dispersa, entrare nel proprio autoritratto. Essere felice. Una felicità legata all’equilibrio sensoriale, l’unica che avrebbe potuto accettare.

Basterebbe questo per fare di Fondamenta degli incurabili, un libro da custodire gelosamente perché l’acqua, oltre alla città e ai sensi, sono i protagonisti assoluti:
“Acqua è uguale a Tempo, e l’acqua offre alla bellezza il suo doppio. Noi, fatti in parte d’acqua,  serviamo la bellezza allo stesso modo. Toccando l’acqua, questa città migliora l’aspetto del tempo, abbellisce il futuro. Ecco la funzione di questa città nell’Universo. Perché la città è statica mentre noi siamo in movimento. La lacrima ne è la dimostrazione. Perché noi andiamo e la bellezza resta. Perché noi siamo diretti verso il futuro, mentre la bellezza è l’eterno presente. La lacrima è una regressione, un omaggio del futuro al passato. Ovvero è ciò che rimane sottraendo qualcosa di superiore a qualcosa di inferiore: la bellezza all’uomo. Lo stesso vale per l’amore, perché anche l’amore è superiore, anch’esso è più grande di chi ama.”

Morì nel proprio appartamento di Brooklyn per un attacco di cuore nel 1996.
Per sua volontà è stato sepolto nel cimitero dell’isola di San Michele a Venezia.

« Giudice: Qual è la tua professione?,
Brodskij: Traduttore e poeta.
Giudice: Chi ti ha riconosciuto come poeta? Chi ti ha arruolato nei ranghi dei poeti?
Brodskij: Nessuno. Chi mi ha arruolato nei ranghi del genere umano? »
(Atti del processo del 1964)