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Piazza San Marco, il salotto di Venezia




Nei primi secoli della storia di Venezia la Piazza era un semplice "brolo", cioè un campo erboso, separato dalla Basilica di San Marco da un canale: il rio Batario (poi interrato nel Duecento). Secondo la Cronaca Dandola, la Piazza venne pavimentata in cotto (con mattoni inseriti verticalmente e disposti a spina di pesce) una prima volta nel 1267, poi lastricata con riquadri di pietre cotte, intramezzate da liste di marmo, nel 1392, per volere del doge Antonio Venier. Seguì il restauro del 1626 e la pavimentazione in trachite (dai vicini Colli Euganei, pietra che ha la proprietà di non divenire scivolosa anche consumandosi nel tempo), su disegno del Tirali, nel 1723. Infine, nel 1893, la pavimentazione della piazza venne rinnovata nel disegno che ha ancora oggi.

Nell'antica Piazza San Marco erano presenti anche delle vere da pozzo, ma quante fossero non è ben chiaro: nel 1283 se ne trovava uno all'imbocco delle Mercerie, mentre nel 1494 lo storico Marin Sanudo parla di due vere da pozzo. In epoche successive, comunque, tutte le cronache parlano di un solo pozzo posto in fondo alla piazza, vicino alla Chiesa di San Geminiano (chiesa fatta abbattere agli inizi dell'Ottocento per volere di Napoleone, il quale fece realizzare al suo posto la cosiddetta "Ala Napoleonica" che ancora oggi chiude la piazza sul lato opposto a quello della Basilica).

Piazza San Marco è da sempre lo spazio destinato a ospitare tutti gli avvenimenti più importanti della vita cittadina veneziana. Una di queste cerimonie si svolgeva la domenica delle Palme, al termine della quale, dalla loggia della Basilica, si liberavano dei colombi. Ai volatili venivano preventivamente legati dei pesetti alle zampe per impedir loro di volare troppo in alto e per esser quindi velocemente ricatturati. Ma non tutti venivano presi e così, nel tempo, diversi colombi cominciarono a nidificare sulla Basilica e sui tetti delle Procuratie e del Palazzo Ducale, arrivando a moltiplicarsi enormemente nei secoli. Ad essi pensava la Repubblica con quotidiane distribuzioni di grano.

Aldo Manuzio e l'arte della tipografia nel Rinascimento




 Aldo Manuzio (Velletri 1449 - Venezia 1515) è considerato il più importante tipografo del Rinascimento nonché il primo editore in senso moderno.
Giunto a Venezia intorno al 1490 aprì la sua tipografia a Sant'Agostin, e il suo logo (qui a fianco) rappresentava un'ancora e un delfino, con il motto 'festina lente' cioè 'affrettati con calma'. La sua ambizione era preservare la letteratura greca e latina dall'oblio, diffondendone i capolavori in edizioni stampate.
In tutto Manuzio stampò circa 130 opere, in greco, in latino e in volgare, fra le quali anche opere di contemporanei quali Erasmo, Angelo Poliziano o Pietro Bembo, ma soprattutto i grandi classici, da Aristotele a Tucidide, da Erodoto a Cicerone, da Sofocle a Luciano, a Catullo, a Virgilio, a Ovidio, a Omero e molti altri.
Ma il suo vero capolavoro fu l' Hypnerotomachia Poliphili, sogno di qualunque bibliofilo, pubblicato nel 1499 e corredato di 170 splendide xilografie (una copia è conservata alla Biblioteca Marciana).
Manuzio è ricordato anche per la creazione del carattere corsivo, detto anche 'italico', e per l'utilizzo della stampa 'in ottavo' che rese i libri, per la prima volta, maneggevoli, leggeri e quindi facilmente trasportabili.
Fondò, inoltre, l'Accademia Aldina insiema a Pietro Bembo, il cui intento era di dare impulso allo studio dei classici greci in Italia ed in Europa.
L'arte del Manuzio ebbe così vasta eco anche grazie all'amore e all'interesse che i veneziani sempre dimostrarono per i libri. Per darne un'idea: nel 1500 in città si contavano circa 200 tipografie, più di quante ne avevano Parigi e Lione insieme (Firenze ne aveva 22, Roma 37). Il libro veneziano inoltre era particolarmente apprezzato per la qualità della stampa e la rilegatura raffinata quanto durevole, tanto che quando un libro si presentava di particolare pregio si diceva 'legato alla veneziana'

Fra Mauro, il cosmografo del diavolo




Si racconta che un giorno un senatore veneziano andò a far visita a un umile converso del monastero camaldolese sull'isola di San Michele. Fra Mauro da Venezia se ne stava ritirato nel suo laboratorio intento a disegnare un planisfero su una grande pergamena.
L'onore della visita non confuse il monaco, che era stimato per le sue perizie d'ingegnere e disegnatore di carte nautiche. Si diede quindi da fare per spiegare al visitatore il lavoro che lo teneva impegnato. Il senatore si dimostrò subito ansioso di controllare dove fosse la città del Leone, ma confondendosi tra lo splendore delle dorature e i colori dei nomi variopinti, domandò con impazienza: "Dove zela Venezia?", "La xe qua" rispose il frate indicandola con l'indice, "E perché cussì piccola?" chiese insoddisfatto il senatore, "La xe in proporzion del mondo" spiegò pazientemente Fra Mauro. La risposta non piacque al senatore che, andando fiero della grandezza della Serenissima, replicò: "Fè el mondo più piccolo e Venezia più granda". Fra Mauro non seguì il consiglio e lasciò Venezia in proporzione del mondo, contribuendo ugualmente, con il suo lavoro, alla gloria della Dominante.
Poche sono le notizie sulla vita di Fra Mauro, a confronto dell'enorme fama goduta presso i suoi contemporanei. Si sa che è veneziano, che vive e opera nella prima metà del XV secolo, e che probabilmente muore nel 1459. E' un converso che ha vestito l'abito in età adulta e tale rimane la sua qualifica. Non ci sono dubbi neanche sul fatto che dal 1443 al 1459 dimori esclusivamente sull'isola di San Michele.
Esperto di idraulica e d'ingegneria, la Repubblica lo chiama a consulto sul modo più conveniente per deviare il Brenta affinché non sfoci in laguna. Segno che si era servita della sua opera anche in altre occasioni.
La rinomanza di Fra Mauro è però legata alla cartografia. Aiutato da valenti collaboratori sia laici che confratelli, nel suo laboratorio compone molte carte geografiche e vari scritti, tutti andati sfortunatamente perduti. Tra le opere che gli vengono attribuite ci sono un portolano del bacino mediterraneo e delle coste orientali dell'Africa, rinvenuto nel 1822, un'altra riguarda il frammento di una grande mappa circolare scoperta nel 1955 nella biblioteca del Palazzo Topkapi a Istanbul.
Tra i suoi ultimi lavori vi è un planisfero per il sovrano di Portogallo, iniziato nel 1457 e consegnato nell'aprile del 1459 per mezzo del patrizio veneziano Stefano Trevisan. Il planisfero fu molto studiato e servì da guida per i viaggi compiuti da portoghesi e spagnoli nella seconda metà del Quattrocento. Note di spese e di pagamento nei vecchi registri del monastero ne attestano con certezza l'esecuzione, dal momento che l'opera è andata perduta.
L'unica tra le opere del frate giunta intatta fino a noi è il magnifico e famoso planisfero (detto impropriamente 'mappamondo') custodito per tre secoli a San Michele e, alla soppressione del monastero, trasferito nella Biblioteca Marciana di Venezia. Di proporzioni monumentali e d'una ricchezza senza precedenti, il planisfero è considerato un capolavoro cartografico. Il celeste intenso dei mari, il verde dei fiumi, il rosato, il carminio e l'azzurro dei monti, le lettere d'oro dei nomi dei regni più importanti e quelle rosse delle altre località, le file degli alberi che segnano i confini delle provincie, le città in miniatura, le didascalie in rosso e azzurro danno al planisfero un aspetto variopinto. Ma il maggior pregio di quest'opera superba sta nel fatto che riassume tutte le conoscenze geografiche dell'epoca.
Geografia e cosmografia erano discipline tradizionalmente approfondite nel monastero di San Michele, ed è certo che Fra Mauro si è dedicato a lunghi e profondi studi dei geografi antichi; egli si avvalse inoltre di relazioni scritte, di carte nautiche provenienti dall'estero, ma anche di contatti diretti avuti con viaggiatori e naviganti da lui interrogati per raccogliere notizie sulle terre che avevano attraversato o sui mari che avevano solcato.
I colori magnifici, la precisione e la profondità del tratto, la correttezza delle notizie, la perfezione tutta dell'opera, insomma questo navigare nel mondo senza uscire mai dai confini esigui dell'isola, hanno creato una leggenda sul frate. Una voce di popolo dice che nelle notti particolarmente fosche il cosmografo avesse la capacità di concentrare i sogni di Lucifero sull'isola, proiettandoli poi sulle nuvole. I paesi che l'angelo del male andava sognando, il frate li catturava imprigionandoli sulla pergamena. Così ha potuto conoscere il mondo intero.
La Signoria di Venezia, a cui il planisfero è dedicato, per tramandare ai posteri la sua fama coniò un ritratto del converso. Tutto intorno al profilo del monaco, vecchio e con il volto emaciato, gira la frase:"Frater. Maurus. S.Michaelis. Moranensis. De. Venetiis. Ordinis. Camaldulensis. Cosmographus. Incomparabilis."
Un solo aggettivo che basta a contenere l'impareggiabile straordinarietà del cosmografo del diavolo.